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L’eros, gli archetipi, la civiltà: Monica Guerritore si racconta ad Armonie d’Arte Festival

Ultimo appuntamento della sezione Platino di Armonie d’Arte al Parco Scolacium, prima del gran finale del 5 settembre eccezionalmente al chiuso del teatro Politeama di Catanzaro con la Royal Philharmonic Orchestra, sabato 1 settembre con la straordinaria Monica Guerritore, fra le più amate e intense interpreti del panorama attoriale nazionale, che darà voce nelle magiche e suggestive rovine romane alla favola di Apuleio “Amore e Psiche”. Un grande classico del II secolo dopo Cristo che, come tutti capolavori, parla per metafore svelando in ogni epoca i suoi profondi valori simbolici e offrendo ai contemporanei la possibilità di “esercitare, come in un’officina – afferma Guerritore – la conoscenza”. E così il profondo legame che è anche lotta, fra Eros e Anima, fra Amore e Psiche, diventa occasione per riflettere sui grandi temi dell’attualità, che con Monica Guerritore per Armonie d’Arte Festival vi anticipiamo in questa intervista esclusiva.

Armonie d’Arte Festival quest’anno ha scelto come tema Eros, alla maniera platonica.  Che cosa racconta Monica Guerritore tramite “Amore e Psiche” ai contemporanei che vivono l’antica Scolacium?

Il mio racconto parte da un archetipo: Amore è un motore, che spinge Psiche ad una ricerca costante, la spinge a fuggire le gabbie, le forme, ad andare cercando, sempre. L’unione di Eros con Psiche, lo scomparire di Amore, è proprio il trucco che permette ad Eros di farla muovere, di farla andare cercando. Quando lui le dice “l’unica cosa che non devi fare, è vedermi” vuole dirle che la conoscenza è limitata, la conoscenza non può con i suoi strumenti raggiungere il divino. In Apuleio Psiche, poi, salirà insieme a Eros sull’Olimpo, dove Giove la farà diventare da umana, divina. Per fare questo deve dimenticarsi la limitatezza del suo essere umano, e abbandonarsi a Eros che è il motore di tutto. Questo è un aspetto particolarmente importante per me, lo metto al primo posto anche quando parlo ai giovani interpreti, agli attori, a chi fa teatro: la conoscenza di Eros e Psiche è la prima qualità che aggancia l’interesse del pubblico. Non è una qualità intellettuale, ma seduttiva, Eros attrae, porta a sé, da lì tutto diventa più facile più aperto, nella comprensione intellettuale.

Come in tutti i classici, si possono cogliere in Apuleio grandi riferimenti all’attualità…

Ci sono molto rimandi, come per tutte le grandi opere che si rifanno ad archetipi: Eros incarna la bestialità delle passioni, come pure incarna il marito, “nello stesso corpo – dirà Psiche – amo lo sposo e odio il mostro”, e continuamente anche lei è duplice, a volte è sicura, a volte ondeggia, perché lei stessa è duplice e questa dualità in Psiche è estremamente interessante. Tutte le grandi storie ci parlano per metafore: Amleto non ci parla di una vicenda avvenuta nel ‘600 alla corte di Denmark, ma dell’incertezza dell’essere, che ciascuno rilegge come propria in ogni epoca.

In una sua recente intervista, dopo il crollo del ponte Morandi a Genova – ma l’indicazione è valida per ogni luogo, in ogni tempo, anche a noi qui molto vicini – lei ha evidenziato la valenza etico-politica della favola di Apuleio, per i suoi rimandi alla conoscenza?

La conoscenza è uno strumento che va esercitato, e le opere dell’uomo, le opere d’arte, più e meglio dei giornali, grazie al loro valore simbolico, sono in grado di aiutarci a tradurre in ragionamento ciò che sentiamo: chi ascolta “Amore e Psiche”, dovrà prendere la favola, tradurla, fare un lavoro di officina, uno sforzo personale per trasformare le immagini simboliche, i mostri, le formichine, le voci, nel proprio linguaggio, e ritrovare in quelle metafore, a seconda delle proprie visioni, dei propri meccanismi, la propria chiave di lettura. Certamente, come accade con la favola di Capuccetto Rosso, io dopo aver ascoltato e indagato, tradotto per me, sarò attento e se qualcuno mi dice che là fuori ci sono 140 persone che rappresentano un pericolo, io saprò opporre il mio ragionamento alla propaganda, perché so ragionare da solo!

Soffermiamoci su questo tema molto attuale dell’immigrazione, un tema su cui anche lei ha preso posizione: possiamo farlo prendendolo come archetipo tipicamente femminile, quello dell’accoglienza, che è sempre “un’attesa”, fatta da un prima e da un dopo. E possiamo farlo citando le parole di Vanessa Redgrave, 81 anni e Leone d’Oro alla Carriera a Venezia, che toccando il tema per lei autobiografico, ha rilanciato una domanda ai giornalisti: “Non trovate che sia strano – ha detto – che i governi non incoraggino i popoli ad accogliere con piccole azioni i loro simili?”. Che cosa ne pensa?

Penso che sì, certamente parlare di accoglienza in termini archetipici è corretto. Le qualità del femminile hanno tutte a che fare con l’accoglienza, la vita, l’acqua, il mare, la vita. Ma il femminile per essere completo ha bisogno del virile, della regola. Quello che fino ad oggi è mancato in Italia è la regola, questo ha messo paura alla gente. Gli italiani siamo gente istintivamente accogliente, ma questo sentimento positivo necessita del completamento, cioè di uno Stato che regoli, che non vuol dire respingimento, ma gestione del fenomeno dell’accoglienza. Tornando ai Classici, con l’Antigone di Sofocle, fino a ieri nessuno voleva interpretare Creonte, perché la protagonista assoluta era Antigone, donna che vuole riaccogliere il fratello e dargli giusta sepoltura seppure abbia violato le leggi di stato. Oggi Creonte, riletto alla luce della contemporaneità, ha la stessa importanza di Antigone, la legge della città dà possibilità maggiori all’accoglienza, non minori. Vorrei completare quindi il discorso e spuntare le armi della propaganda, e vorrei chiedere alla propaganda in finale di dare seguito a quello che hanno promesso a centinaia di migliaia di persone che ancora vivono allo sbando e che in qualche modo possono turbare l’ordine pubblico se non sono accolte in modo ordinato e accogliente.

Un’ultima domanda: da attrice, ma anche da autrice e regista, che fra l’altro ha al Sud (fra Calabria e Campania) le sue origini biografiche, che cosa pensa di un Festival come Armonie d’Arte, nei luoghi che hanno fatto la storia, come questa antica città romana che ci accoglie, e che fu prima greca e ancora pre-ellenica, poi normanna e bizantina, e oggi tocca a noi contemporanei “vivere” e “raccontare”, restituendo magari nuovi scenari possibili?

Ogni volta che si possono fare rivivere le parole dell’antichità, da Taormina, a Tindari, a Scolacium, è una grande occasione per riappropriarci di quel che più profondamente noi siamo. Quindi grande merito. Lo dico anche da jounghiana convinta: “Gli archetipi sono come i letti dei fiumi abbandonati dall’acqua, che però possono nuovamente accoglierla dopo un certo tempo”. La radice di ogni termine, ogni favola, ogni mito, ogni nostra manifestazione nasce dalla civiltà classica. La grandezza del Sud, in quanto matrice di civiltà, è stata massacrata, e il grande vulnus del nostro Paese nasce da questo atteggiamento che non riconosce al Sud il suo valore. Io so che ogni volta che mi ritrovo, d’inverno o d’estate, in questi luoghi, la qualità delle conversazioni, dello stare insieme, del fare cultura è incredibilmente elevata, basterebbe riconoscere tutto questo, apprezzare tutto il lavoro fatto dall’uomo e sostenerlo, e ogni cosa sarebbe più logica.

Ticketing ancora aperto su www.armoniedarte.com, oppure nei Punti vendita sul territorio, o direttamente al Parco Scolacium.

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