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A tu per tu con Gianfranco Meggiato

Per la prima volta nella sua storia, quest’anno Armonie d’Arte Festival propone la Lirica all’interno del suo poliedrico programma a Roccelletta di Borgia. Lo fa coronando certamente un sogno. E lo fa all’insegna della pluralità delle forme espressive, della commistione “armoniosa” dei linguaggi. Sul palco venerdì 4 agosto alle 22.00 non solo una grande Opera come la Carmen di Bizet, fra le più amate del repertorio lirico di ogni tempo; ma anche una location di impareggiabile suggestione come Parco Scolacium; un cast di artisti nazionali e internazionali di grande esperienza; la direzione di Leonardo Quadrini; la danza di Filippo Stabile; il progetto scenico e di luci di una firma prestigiosa come quella di Sebastiano Romano. E infine, certo non per importanza, le opere di uno scultore contemporaneo fra i più affermati, qual è Gianfranco Meggiato. Con lui abbiamo scambiato alcune riflessioni sul senso di questa grande produzione originale di Armonie d’Arte Festival, voluta fortemente dal direttore artistico Chiara Giordano.

Che cosa significa per Lei e per il Suo percorso artistico questa produzione originale di Carmen per Armonie d’Arte Festival? 

L’opera di Bizet è senza dubbio un pezzo emblematico. Parla di amore, di donne, di morte, di libertà ed è fortemente attuale. Contestualizzata nella nostra epoca risulta una testimonianza viva di storie d’oggi, un valido veicolo di riflessione sotto tutti gli aspetti civili a noi contemporanei.

Per la mia arte è un’occasione unica in quanto il fascino di Parco Scolacium, della musica, la sensualità teatrale, i colori, l’ambientazione, la leggerezza della danza e degli elementi della mia scultura si armonizzeranno per fondersi in un’opera totale.

Il nome Carmen deriva da carminis, che in latino significa poesia, canto. Ecco allora che la definizione stessa del titolo incarna perfettamente quello che per me rappresenta questo percorso artistico e questa collaborazione: una forma poetica, un canto libero e carico di forza creativa.

Ricordando anche che Armonie d’Arte Festival quest’anno è dedicato al tema del dialogo, come legge tale operazione nel quadro del dibattito artistico internazionale? 

L’arte può essere una delle risposte che da tempo cerchiamo. L’arte è infatti un motivo unificante tra tantissime differenze che oggi dividono gli uomini. Iniziative come questa di Armonie d’Arte Festival sono fondamentali per portare alla riflessione. Perché ci uniscono intorno alla bellezza, sono un’esperienza di comunione, sono una ricerca condivisa di espressione da cui poter imparare a vivere, credere e gioire con l’altro. Azioni culturali come queste sono educative ed aggregative nei confronti degli spettatori, vi è il coraggio di perseverare sul cammino verso la crescita e l’unità. L’arte indica strade alternative, nuovi sguardi, ci porta inevitabilmente a mettere in discussione le nostre convinzioni e i nostri condizionamenti attraverso la verità di altri, attraverso punti di vista che non si conoscevano o semplicemente suscitandoci domande nascoste.

Prima ancora del dialogo, vi sono i dualismi, le separazioni canoniche che la vita ci presenta, le contraddizioni che abitano in noi (frutto delle sovrastrutture sociali in cui siamo immersi fin dalla nascita). L’arte in tutto questo è ponte, è terra di mezzo, è medium. Sa trovare integrazione e interiorità perché ha sempre una visione totalizzante che non conosce confine. L’arte è, a mio avviso, trasversale proprio perché attraversa, va da un punto all’altro incessantemente. E così facendo crea dialoghi.

 Quale narrazione del rapporto archetipico tra amore e morte si ritrova nelle Sua arte e nelle sue installazioni? 

Da sempre sostengo che l’artista è come l’alchimista: lavora per trasformare, per plasmare per dare vita alla materia inerte. In questo vi si può trovare una chiave di lettura per avvicinarsi al tema del rapporto tra amore e morte. Un tema che ha ispirato artisti e poeti di ogni tempo. La mia arte è attratta dalle dicotomie e dai simbolismi: il pieno e il vuoto, il nero e l’oro, il cubo e la sfera. Sono questi binomi che mi consentono di esprimere liberamente ogni idea, stabilendo una connessione tra l’essenza della forma e il suo equivalente spirituale, morale e intellettuale. Così è anche la vita e la morte, l’eterna lotta tra gli opposti: solo comprendendo la loro forza si può arrivare al cuore delle cose e alla parte più profonda dell’esistenza.

Carmen vuole essere, oltre che la riproposizione di una straordinaria Opera, anche un’occasione per riflettere su un’emergenza sociale come la violenza di genere: quale spazio a questo tema nelle sue espressioni artistiche? 

L’arte, e ancor di più quella contemporanea, fonda storicamente e culturalmente le sue basi sulla libertà di espressione e di contenuti, vedendo nei limiti il vero campo di esplorazione e spingendo il proprio linguaggio oltre ad essi. Molti artisti di oggi usano addirittura il proprio corpo, offrendolo come campo d’azione, come specchio, come esperienza di indagine sociale e spazio di relazione. Attraverso questi lavori e queste nuove conquiste dell’arte, è quasi una sorta di esigenza quella di trattare apertamente questioni scottanti quanto attuali, come le differenze di genere, mescolando simboli, segni, codici, cercando di capire dove definizioni aprioristiche come “maschile” e “femminile” perdono il loro senso per tradursi in energia unica, oltre i generi e i ruoli. Nella mia arte, la colonna portante è proprio questa energia vitale, dove non vi sono confini o limitazione di genere. La vita, bene imprescindibile e impossibile da quantificare, dà un senso a qualsiasi altro valore, in ogni cultura e in ogni tipo di religione. Un concetto di tale trasversalità, a qualsiasi latitudine del mondo, non può che ispirare e incoraggiare un artista nel tentativo di dare a essa una forma, un’espressione tangibile, che riesca a comunicare a qualsiasi osservatore. Ecco che le mie opere si concentrano su quanto, oggi ancor di più, l’uomo deve combattere la cecità dell’anima, spesso assopita in ricerche futili edegocentriche, ed innalzarsi ad una consapevolezza spirituale, universale, che vada al di là delle differenze terrene di genere, religione, etnia. Il pensiero, quando veramente libero, è come un respiro universale che permette alle diversità di incontrarsi e arricchirsi, nel pieno rispetto e nel fertile dialogo. Solo in questo modo, con saggezza e coscienza, vi può essere convivenza e crescita pacifica anche nei gesti più quotidiani, a partire dalla serenità domestica fino alle più grandi manovre volte al benessere dell’umanità.

Maestro Lei ha già visitato e conosciuto Parco Scolacium: come descrive questo luogo e come l’ha ispirata? 

Il parco Scolacium è un inno alla bellezza, all’identità mediterranea e alla purezza. La natura e l’opera dell’uomo sembrano qui aver trovato un tacito accordo di non belligeranza. Il parco non è solo cornice: compenetra le opere e gli spettacoli che ospita, nutrendo l’ispirazione e la creatività. Il Parco è un luogo senza tempo, sospeso in una dimensione altra, dove un artista trova percorsi di meditazione e imitazione nei confronti della natura. Posti di questo calibro devono essere conservati e preservati perché riescano a sopravvivere nei secoli ed essere testimoni di bellezza anche per le future generazioni.

Senza anticipare nulla per non togliere il gusto della sorpresa al nostro pubblico, in tre parole/aggettivi può descrivere il Suo intervento artistico nella Carmen di Scolacium per Armonie d’Arte Festival?

Le parole in arte spesso limitano il flusso emotivo che le opere trasmettono. Il lessico è un’arma a doppio taglio: spesso convoglia e delinea l’ineffabile, altre volte si presenta come un contenitore che proprio per questo risulta insufficiente per un’espressione dirompente come l’arte. 

Correndo comunque questo rischio, di sicuro una parola che può accompagnare un intervento artistico così articolato e completo è un sostantivo che abbiamo usato più volte in quest’intervista ossia DIALOGO. Quante volte sentiamo tale citazione in tutti i possibili media di oggi, abbinata alle più pressanti sciagure del mondo, ma quanto ancora ve ne sarebbe bisogno. Dialogo è quello che si instaura in questa performance a volte anche senza mediazione verbale, il dialogo infatti, in particolare nell’arte, può essere silenzioso, visivo, costruito in rimandi suggestivi di colori e forme.

Un’altra parola che suona più come un suggerimento è STUPORE. Lasciarsi meravigliare è un atto che spesso dimentichiamo e limita quindi il nostro sviluppo mentale. Lasciamo che lo spirito, stimolato dalle forme artistiche, si senta affamato e curioso. 

Infine oso la parola SPIRITUALITÀ a me molto cara, perché l’opera di Carmen non sia percepita solo nella sua grandissima fama lirica e come espressione estetica ma che, rafforzata dalla scenografia e dalla scultura, possa veramente farsi carico di un messaggio sociale.

 

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